la bocca è la ferita al Dio,
cioè Dio, cioè pane e pagina
e rosso e bianco e nuda altura,
la bocca morta del leopardo
dove eiaculare accarezza carogna,
nuda bianca altura della pagina
sul rosso all’orlo della tazza di gazpacho.
Un long pie nu sur ma bouche
il lungo bacio alla pianta nuda del piede
offrendo il proprio peccato alla peccatrice,
il peccato testa osservante la nudità della peccatrice
questa suola di piede sulle mie labbra
*
Questa è la mano di Muzio
la mano in fiamme dell’alba
un’unica volta vacilli la mano
le mani atterrite sul volto
gridato dal ventre, quasi Celan,
Thou hast a lap full of seed.
Le mani dell’impiccato sulla corda,
sul nodo scorsoio dalla cui stretta nasce
l’oscillazione del corpo, del ventre verticale
e del rizoma delle mani.
*
Cerebrum non habet
questo zero è una specie di uno
l’acefalo è una forma di non-Due
di non-timore, mudrá del non temere, se da deýdo è il
dýo.
Ma siamo due a spaccare un unico
cervello, siamo vicini allo zero
ed il terrore incendia la sua aquila
il volo dei corpi
via dall’a-pollá
occhio dove occhio non c’è
e ciò che non è occhio tra due sguardi
come la Shekina to she sessions of seewt silent thought
habet cerebrum et silentium.
*
O ciò che non è mai stato non lo è stato.
O non lo è stato a sufficienza. Così se
lo zero è zero, è non pensato, è non detto,
non è ciò che è, le cose che tacere è bello.
Se lo zero è qualcosa che non raggiunge l’uno
è l’allegrezza di Cristo fatta due,
sparagmós che abortisce l’è, Verneinung del Cristo
la cui bellezza è di non essere a sufficienza,
la cui bellezza è di non essere Cristo.
Commoto di cosa e corpo, di scorporo
vibrazione prensile, apre, non stringe,
i propri margini di mano e morto
e sta d’un accennato obliato star,
un che che non sia stato ma perduri,
indifferenza a unire inferno e segno.
(Ianus Pravo)
questo mio folto gelo che annulla i tuoi occhi
nei miei, nel grande vuoto, nel ventre delle neve,
nel no che
oscuramente
forma la flors.
nei miei, nel grande vuoto, nel ventre delle neve,
nel no che
oscuramente
forma la flors.
Er resplan la flors enversa,
A te Ovidio, principe della pagina
Signora del mio naso
del naso storto dove piove
sulla mia identità perduta
I am, but what I am none cares or knows
My friends forsake me like a memory lost
I am the self-consumer of my woes
E la luna risplende sul mio cranio
e cade come pioggia la neve
la neve è un inferno
da mostrare come un fiore agli uomini
Chi sono io? sussurra la pagina
e una mano si muove lentamente
riscrivendo all’inverso l’universo
implorando la pagina per non soffrire
nel doppio che riscrive l’universo
e l’uomo non deve soffrire
deve soltanto scrivere
Chi sono io? sussurra un vecchio prima di morire
Nessuno sa, Borges l’ha detto,
dopo tutta una vita nessuno sa chi è,
cos’è quell’estraneo che si rispecchia
nel dolore senza dolore della pagina.
*
Che strana cosa il poema
cianfrusaglia per mercanteggiare con gli indigeni
per ingannare la morte
per soffiare all’udito della morte Gesù
per soffiare all’udito della morte Belial
chi era questo bambino che muore tutti i giorni
nella pagina che non esiste
er resplan las flors enversa
il fiore che è un suono sputato sulla mano
la mano asciugata dal vento della pagina
dal vento che non esiste sulla pagina che non esiste
e l’uomo muore nello specchio del nulla
travolto dal nulla
sputato dagli uomini
che non sanno cosa sputano.
(Leopoldo María Panero)
(poesie tratte da “senz’arma che dia carne all’imperium” di Leopoldo María Panero e Ianus Pravo)
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