Le interpretazioni della Bibbia cercano da sempre di individuare quale principio unificatore la animi, principio che è simboleggiato dall'eco della voce divina che Mosè udì sul Sinai, e che oggi parla ancora attraverso la Torà. Dopo aver plasmato il primo uomo con la terra e l'acqua, Dio insufflò in lui la vita; questo soffio vitale è amore o Eros: lo era quando fu creato Adamo (che lo ricevette direttamente) e lo era nelle parole di Dio a Mosé (che lo ha racchiuso nel messaggio della Legge): "Dal momento che quella parola originaria è destinata agli uomini e mira a regolarne la vita su questa terra, il soffio dell'Eros divino si è 'incarnato', nel testo biblico, in discorso della Legge". Per comprendere il messaggio biblico vivente occorre risalire all'Eros primordiale che l'ha generato. La Bibbia contempla la conoscenza per mezzo del corpo: il verbo "conoscere" - ladà'at - significa sia conoscere intellettualmente che conoscere carnalmente, e infatti è riferito alla conoscenza che Adamo fece di Eva. La tradizione mistica ebraica insiste molto sull'origine carnale della conoscenza e sul radicamento di ogni attività intellettuale nell'esperienza corporea. La conoscenza viene fondata nella soggettività umana intesa non come una serie di categorie teoretiche, ma nell'insieme della persona, psiche e corpo. Il desiderio di conoscenza nasce dalla percezione di una mancanza. Dio onnipresente e onniscente si sente solo nell'Universo e si contrae (quello che i cabbalisti chiamano zimzum) per "fare spazio" alla creazione. Adamo, nell'Eden, vedendo che tutti gli animali sono in coppia, si sente solo e desidera una compagna. A quel punto, Dio "fa spazio" in lui per Eva, togliendogli una costola. L'uomo e la donna, esseri duali fatti a immagine di Dio (anch'Egli duale perché in parte trascendente e in parte immanente, e la Sua immanenza ne è la parte femminile, ossia la Shekhinà) sono entrambi, al contempo, maschio e femmina, spirito e corpo. Dalla loro unione nasce la vita, che è sia unione di due nell'uno (e in questo senso, il figlio può essere considerato il simbolo della sintesi della creazione che dal molteplice torna all'unico Principio creatore da cui è scaturita) sia la moltiplicazione di due nelle infinite combinazioni genetiche possibili, nell'imprevedibilità della prolificazione potenziale. Il tempo della Bibbia è etico e ciò comporta il rifiuto di ogni fatalismo. Si è coscienti di ciò verso cui si va, e si preferisce la speranza legata al rischio al godimento immediato: il tempo ebraico tende all'infinito per non rischiare di costruire monumenti al presente.
È per questa ragione che Esaù perde la primogenitura a favore di Giacobbe; quest'ultimo desiderava farsi carico l'eredità morale dei Padri, mentre Esaù era un guerriero che vedeva la propria vita limitata al tempo che lo separava dalla propria morte.
La temporalità ebraica è qualitativa, e l'infinito (cui viene comunque messo un termine, con l'avvento dell'era messianica) simboleggia la qualità dell'avvenire. Il desiderio della qualità è Eros e Ethos contemporaneamente; l'istante successivo non nasce da una serie di istanti ineluttabili, ma è costantemente ed eticamente scelto: "Ciò che la tradizione ebraica chiama 'il mondo a venire' designa questo mondo nella misura in cui si annulla a ogni istante per far esistere il proprio al di là, il proprio oltre. Questo oltre può generarsi solo nel presente e contro di esso". Il perpetuo "altrove" (che è temporale e spaziale) indica un'esigenza, un desiderio (Eros) dell'oltre che viene dal profondo dell'intimo dell'uomo, che nulla può colmare.
Dio stesso si annuncia a Mosé con due futuri "Io sarò (colui) che sarò" (Eheyé asher eheyé) sul Sinai, mentre invece precedentemente, nel deserto, essendogli apparso come fuoco che arde ma non consuma, si era definito come "Il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe", ossia come il Dio rassicurante e familiare, forse quasi dimenticato e leggendario, che doveva trasformarsi in un Dio che annuncia il riscatto del futuro. In quest'ottica, è necessario che Mosè torni dal popolo dicendo che lo manda "Io sarò". Questo va letto come il desiderio di Dio di coinvolgere il suo popolo nel Suo destino: "Io sarò" può essere completato con "Io sarò colui che voi vorrete che io sia", o ancora, "Io sarò ciò che voi farete di me": "A livello della loro storia collettiva, la memoria, ossia l'attualizzazione del passato, si confonde con la speranza, ossia con l'anticipazione dell'avvenire". Di nuovo, Ethos ed Eros si sintetizzano. Dal Nome di Dio l'uomo deduce che gli è data la possibilità di superare il tempo e di fare della memoria (del passato) lo strumento della redenzione (del futuro). La redenzione è resa possibile dalla Rivelazione sul Sinai e il rapporto che unisce Dio e il suo popolo è il desiderio del popolo di sentire di nuovo la voce di Dio. La voce di Dio è racchiusa nella Torà, nel rivolo dei precetti scaturiti dai comandamenti, elaborati da Mosé: "Il prezzo da pagare per la mediazione di Mosé è il restringersi dell'esperienza mistica nella pratica dei precetti, il passaggio della libertà dell'Eros verso la disciplina della Legge". Il desiderio del popolo ebraico, che la tradizione vuole simboleggiato dall'innamorata protagonista del "Cantico dei cantici", è quello di riscoprire la tensione erotica, l'Eros divino, che la Legge incarna. (S. Moses: L'Eros e la Legge - letture bibliche)
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