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giovedì 4 aprile 2013

la forza della preghiera del cuore

Quanto ai pensieri, non vi prestiamo la minima attenzione ed essi si disperdono in tutte le direzioni. La nostra mente si trova così nella disposizione contraria rispetto a quella d’una mente protetta dalla preghiera: è come una stanza con le porte spalancate, senza nessuna sorveglianza, in cui chiunque lo desideri può entrare e uscire introducendovi o asportandovi tutto ciò che gli pare. È temibile per i demoni e gradito a Dio e ai suoi angeli quell’uomo che, giorno e notte e con uno zelo ardente, ricerca Dio nel proprio cuore e vi estirpa le suggestioni del nemico. Impara a essere attento durante la preghiera orale: la preghiera orale recitata con attenzione si trasformerà da sola in preghiera della mente e poi del cuore. (Ignatij Brjancaninov "Preghiera e lotta spirituale") E qual è la pratica da seguire per trovare Dio nel proprio cuore? La preghiera deve continuamente risonare sulle nostre labbra; nelle avversità per esserne liberati, nella prosperità per esservi conservati. La meditazione segreta e la lettura fanno dell’anima una casa ben sprangata e protetta da tutte le parti, una colonna incrollabile, un porto calmo e riparato. Essa salva l’anima proteggendola dall’indecisione. I demoni si agitano molto e diventano estremamente inquieti quando un monaco si arma della meditazione segreta sotto la forma della preghiera di Gesù: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore. La preghiera breve raccoglie la mente, la quale, se non è assidua alla meditazione non può fare a meno di svolazzare e vagabondare qua e là. La preghiera di Gesù – utilizzata dai Padri del Deserto nel IV secolo – riveste una duplice funzione: 1) la mente è occupata e focalizzata su un unico pensiero, allontanando i demoni della depressione o del giudizio. 2) Con l’assidua e prolungata ripetizione il praticante discende dalla mente al cuore. Lo studio dei metodi di trasmutazione alchemica delle emozioni,l'Alchimia come Arte e Via che porta alla trasformazione psicologica degli individui. Noi possiamo essere: streghe, maghi, alchimisti, guerrieri...un monaco-guerriero,coraggioso e valoroso come un templare...impavidi guerrieri a cui tutto è consentito...ché noi siamo già pronti, perché siamo anime che vengono da "altrove"...i nostri cuori vibrano di sacro furore...di fuoco, di luce ed energia... perché siamo animicamente discendenti degli Antichi Signori, i Superiori Sconosciuti, i Maestri che milioni di anni fa scesero sulla Terra per educare i primi uomini e si accoppiarono con loro con lo scopo di creare una discendenza...perché siamo anime che fin da bambine si sono sempre sentite come "aliene" su questo pianeta. Anime che sono vissute attendendo un segnale: il suono dell'Adunata...siamo coloro nelle cui vene scorre il sangue dell'Antica Stirpe: Guerrieri e Guerriere, Maghi e Maghe, Sacerdoti e Sacerdotesse...nella totale consapevolezza di incarnare una sorta di uomo verticale, cioè colui che pecepisce il mondo all'interno di sé e si sente pienamente responsabile per tutto ciò che accade nella sua vita. Quando dai la colpa a qualcuno gli stai dando anche Potere, il tuo Potere. Gli dai il Potere di renderti felice o infelice. Ma se una persona o un evento possono renderti felice o infelice, allora tu non sei un uomo libero, sei un servo; sei condannato a vivere sperando che nessuno ti faccia mai niente di male. Se hai questa consapevolezza sei una maga o un mago; se non ce l'hai sei una vittima, un piegato, un lamentante. on dare mai la colpa all'esterno, non lamentarti per come è fatto il mondo, perché l'origine di tutti i tuoi mali si trova dentro di te. Non soffri perché qualcuno ti ha fatto qualcosa, ma qualcuno ti ha fatto qualcosa perché hai scelto la sofferenza come tua modalità di vita. Non ti lamenti perché un evento è accaduto, ma quell'evento è accaduto perché tu vivi di lamentele. Quando l’accidia, la depressione e la rabbia svolazzano sopra – e dentro – le nostre teste, noi possiamo rispondere con lo scudo della preghiera. Per fare questo dobbiamo però innanzitutto essere fermamente convinti che questi malesseri non sono causati da una condizione di vita oggettiva, ma provengono dall’esterno e quindi possono essere cacciati per la stessa via da cui sono giunti. In altre parole, quando siamo depressi non è perché stiamo vivendo una particolare situazione nella nostra vita che giustifica quella depressione, ma, al contrario, viviamo certe situazioni solo perché prima abbiamo inconsapevolmente aperto una porta al demone della depressione, il quale ci fa percepire il mondo attraverso un filtro che colora tutto con i colori della depressione." Ignazio Teoforo, vescovo di Antiochia, che ricevette la corona del martirio a Roma nel 107 d.C., leggiamo: “Mentre lo si conduceva per essere consegnato alle bestie feroci, egli aveva incessantemente il nome di Gesù Cristo sulle labbra; allora i pagani gli chiesero per quale motivo pronunciasse continuamente quel nome. Il santo rispose che aveva il nome di Gesù impresso nel cuore e che non faceva altro che confessare con la bocca colui che sempre portava nel cuore. Più tardi, dopo che fu divorato dalle belve nell’arena, avvenne per volontà di Dio che il suo cuore restasse intatto fra le costole. Gli infedeli che lo trovarono tagliarono il cuore in due parti per verificare l’esattezza delle parole del santo. All’interno, sulle due metà, trovarono un’iscrizione a caratteri d’oro: Gesù Cristo.”
Questa è la “preghiera di Gesù” che gli asceti cristiani delle origini avevano sempre sulle labbra:Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore.
Il termine “peccatore” non va inteso come comunemente facciamo oggi. Il peccatore non è qualcuno che ha commesso un atto sbagliato, bensì colui che si è allontanato da Dio. È un peccatore colui che è “caduto”,che si è distaccato dal Padre, che non si sente più un tutt’uno con Lui... e per questo in verità soffre atrocemente.
Nel momento in cui ci allontaniamo dal Padre – dal nostro Cuore – ogni nostro agire è in verità peccaminoso e intriso di dolore, al di là del fatto che ce ne rendiamo conto o meno. Il “peccato originale”, cioè, in ultima analisi, il giudizio – il fatto che a un certo punto abbiamo cominciato a distinguere fra bene e male, giusto e sbagliato – pur essendo un processo necessario, ha inevitabilmente causato la nostra “cacciata dal Paradiso Terrestre” e quindi l’allontanamento dal Padre. Il giudizio, il nostro puntare il dito verso ciò che riteniamo “male”, è il vero peccato.
Il sentirsi soli e lontani dal Padre è una situazione che provoca rabbia e depressione, i due demoni di cui parlavo nel precedente post. La distanza dal Padre causa ed è causata dal giudizio, il quale provoca alternativamente rabbia e mancanza di voglia di vivere. Il pentimento– quando sentito nel cuore – permette invece di percorrere la risalita verso la“casa del Padre”. La preghiera è lo strumento che ci è stato tramandato.
Dice Serafim di Sarov in Istruzioni spirituali: “Dobbiamo dedicarci con tutte le nostre forze a salvaguardare la pace dell’anima e a non indignarci quando gli altri ci offendono. Non vi è nulla al di sopra della pace in Cristo, grazie alla quale vengono annientati gli assalti degli spiriti del cielo e della terra.”
“La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano le regioni celesti” (Ef 6.12).

La preghiera viene chiamata “della mente” quando è recitata dalla mente con profonda attenzione e con la partecipazione marginale del cuore. È detta “del cuore” quando è recitata dalla mente unita al cuore, ossia quando la mente scende fino al cuore e innalza la preghiera dal profondo. A questo punto il fedele si sente cosciente principalmente al centro del petto, dove risiede il Fuoco, anziché nella testa. La preghiera viene chiamata “dell’anima”quando sgorga da tutta l’anima, con la partecipazione dello stesso corpo; quando viene offerta da tutto l’essere che diventa, per così dire, il portavoce della preghiera. L’identificazione ultima con l’anima permette infatti la partecipazione completa anche del corpo.

“Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Ecco il primo comandamento” (Mc 12.30; Dt 6.5)

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