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domenica 9 giugno 2013

da "viaggio nelle energie del femminile" di Zu

«Sorge l'esigenza oggi più che mai di rileggere ciò che sta accadendo a livello sociale partendo dall'esperienza personale […] Maschile e femminile non sono due aggettivi riferiti rispettivamente all'uomo e alla donna, ma due energie presenti in noi, due qualità dell'essere incarnate nei due emisferi che costituiscono il cervello. Il principio maschile, che rappresenta la nostra dimensione logica, come energia porta in noi la capacità di analizzare e di conoscere razionalmente. Nasce mitologicamente nel momento in cui l'essere umano si affranca dalla paura e si spinge fuori dalla caverna per esplorare il mondo. Non a caso il simbolo che lo rappresenta è il sole, la cui luce rende visibili e netti i contorni di tutte le cose. Il maschile è quindi conoscenza, misura ed evidenza, ordine e controllo, poiché nulla deve sfuggirgli, e quindi comporta il bisogno di stabilire confini e limiti certi, competitività e guerra, ma anche cameratismo, che sono qualità legate all'aspetto sociale della vita, disciplina e concretezza, abilità di fare, parola in cui il maschile trova perfetta realizzazione. Il suo elemento è il cielo, la verticalità che ispira alla trascendenza.
Il principio femminile in noi, dimensione analogica, è l'energia del sentire. Il simbolo corrispondente è, infatti, la luna, che nell'oscurità illumina lievemente, rendendo vaghi i contorni di tutte le cose, invita ad abbandonare il mondo delle evidenze e a richiudersi nella propria sfera intima. Porta come qualità l'emozionalità, l'intuizione, la creatività, il sogno, l'introspezione e la capacità di vedere oltre. Sa vivere nel caos. Se il maschile sprona all'esplorazione materiale, il femminile induce al viaggio interiore, alla profondità che implica il pericolo dell'abisso. Non ama limiti e confini. È esattamente l'opposto del controllo, la percezione della soglia che comporta il rischio del perdersi e della follia. Conosce il potere di dare la vita e di conseguenza può toglierla. Il suo elemento è la terra, che porta il dono della trasformazione, poiché è archetipicamente il grembo da cui tutto ha origine e che tutto raccoglie. La predisposizione al sentire induce il femminile a un rapporto magico con la sfera sessuale. Ama, infatti, in maniera fantasiosa, libera e tantrica. Non conosce tabù, ma si perde nella reciprocità del piacere. Questa attitudine destabilizza profondamente il maschile che ha bisogno di riferimenti solidi e cui non appartiene la sensualità, ma la sessualità, che ha piuttosto velleità prestative. Il maschile è infatti custode in noi dei valori tradizionali, che però il femminile trasmette. E, dato che tutto quello che costituisce il nostro mondo interiore trova riflesso all'esterno, a icona di ciò basterà evocare come esempio la famiglia patriarcale, in cui il padre rappresenta le regole, ma la madre le tramanda ai figli e insegna loro a rispettarle. Se la parola chiave del maschile è fare, quella del femminile è essere.
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Conoscere i due principi che ci animano è un fatto sostanziale e alla base del nostro percorso evolutivo risiede l'obiettivo di integrarli. Un buon femminile è infatti l'ispirazione che induce il maschile a fare bene, cioè a concretizzare, poiché senza l'intuizione del femminile, l'azione del maschile non avrebbe capacità di perseguire mete, così come, senza il fare del maschile, il femminile resterebbe solo desiderio o intenzione»

Lavorando sull'integrazione di due aspetti specifici della nostra personalità, rappresentati da due archetipi di cui non a caso ogni favola racconta e in particolare sulla strega, il lato oscuro che spesso rinneghiamo e che jung definiva ombra...il femminile in noi è la capacità di ispirarsi e intuire. offre la visione sulla direzione, la ricchezza emozionale, la passione. Il maschile diventa allora il mezzo per trasferire alla parte femminile sicurezza e per esaltare le sue qualità. Lei allora può, volare leggera, creare e rendere la vita numinosa e artistica, ma soprattutto PUO' CONCRETIZZARE

Ratto di Proserpina (Bernini)
Il soggetto è tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e legato al tema del ciclo delle stagioni. Proserpina figlia di Giove e Cerere, dea della fertilità fu notata da Plutone, Re degl’inferi, che invaghito la rapì mentre ella raccoglieva fiori, secondo il mito, al lago di Pergusa presso Enna. Cerere per il dolore abbandona i campi, causando la carestia, mentre Giove interviene trovando un accordo con la mediazione di Mercurio; Proserpina avrebbe trascorso nove mesi con la madre favorendo l’abbondanza dei raccolti, per i restanti mesi dell’anno, quelli invernali, sarebbe rimasta con Plutone all’inferno. In ambito cristiano il mito rappresentava il ritorno dell’anima umana dal mondo dei morti alla speranza della vita e la possibilità di redenzione dal peccato e per questo fu rappresentato nelle porte bronzee di San Pietro dallo scultore quattrocentesco Filarete.

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