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mercoledì 29 febbraio 2012

xp e la vera croce

la croce
 dove venne crocifisso Gesù
pare sia stata fatta con il legno
proveniente dalla tomba di Adamo
e qualcuno sostiene fosse legno d'ulivo

File:Konstantin & Helena.jpg
Versione situata a Barcellona
Narra che Adamo, sentendosi anziano e sul punto di morire, chiamò a sè il figlio minore Set affinchè andasse nel Paradiso per raccogliere l'olio per la redenzione dai suoi peccati.Set ritrovò facilmente il cammino seguendo i segni che suo padre lasciò con i suoi peccati, perchè lì non dava frutto la terra. L'angelo guardiano del paradiso diede a Set tre semi d'albero che si vedevano nel Giardino dell'Eden e quello del frutto del Bene e del Male perchè li  piantasse nel punto in cui suo padre sarebbe morto. Set li seminò e nacquero 3 piante sulla tomba di Adamo:una di cipresso,l'altra di palma,la terza di olivo. Crescendo progressivamente, i loro rami si mescolarono in un' unica coppa. Gli alberi furono trapiantati in varie occasioni dagli Israeliti durante il loro peregrinare nel deserto. Mosè lo utilizzò e la regina di Saba lo riconobbe in un blocco della porta del famoso tempio di Salomone a Gerusalemme.Il suo tronco fu portato alla piscina probatica, che divenne miracolosa;  dà lì fu seccato ed elevato al Calvario trasformandosi nella Croce di Gesù.


Versione situata a Toledo
Adamo è stanco di vivere, non solo per gli anni ma perchè il suo lavoro è stato duro e faticoso, tagliando alberi, testimoniato dal pavimento coperto da rami e foglie. E' rimasto in piedi solo un albero; chiede a Dio la morte. Nella terza scena Adamo va vicino ad Eva, che indossa abiti totalmente moreschi, ad eccezione del velo sul viso; chiamano il loro figlio Set per inviarlo al Paradiso, affinchè chida l'olio della misericordia. Nella quarta scena, Set giunge alle porte del Paradiso dove S. Michele, l'angelo guardiano, gli permette di affacciarsi alla porta che è (ovviamente per il periodo in cui è realizzato il lavoro del coro) gotica. Set vede un albero nudo a cui è stata strappata la corteccia; le sue radici sprofondano nelle fauci di un animale mostruoso da cui si affaccia la testa di un uomo e nella parte superiore vediamo la piccola figura di un neonato che piange. L'Angelo gli consegna allora tre semenze di tale albero perchè le introduca nella bocca del padre alla sua morte. Un' altra scena mostra Adamo che viene sepolto e supponiamo che Set abbia realizzato quanto ordinato dall'angelo perchè nell'ultima scena vediamo che dalla tomba del padre è spuntato un albero a un solo tronco, ma con tre rami diversi che l'artista intaglia in una forma molto precisa: un ramo è di cedro, uno di cipresso ed uno di pino ( Padre Figlio e Spirito Santo).

File:Brosen icon constantine helena.jpg
La Leggenda della Vera Croce è la leggenda che racconta la storia del legno sul quale venne crocifisso Cristo, spesso tramandata in letteratura e rappresentata in opere d'arte. La versione più nota è quella che fa parte della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, opera composta nel XIII secolo. La leggenda ha inizio con Adamo che, prossimo a morire, mandò il figlio Set in Paradiso per ottenere l'olio della misericordia come viatico di morte serena. L'Arcangelo Michele, invece, gli diede un ramoscello dell'albero della vita per collocarlo nella bocca di Adamo al momento della sua sepoltura (o tre semi secondo un'altra versione). Il ramo crebbe e l'albero venne ritrovato da re Salomone che, durante la costruzione del Tempio di Gerusalemme, ordinò cha l'albero venisse abbattuto ed utilizzato. Gli operai non riuscirono però a trovare una collocazione, perché era sempre o troppo lungo o troppo corto, e quando lo si tagliava a misura giusta in realtà diveniva troppo corto, tanto da non poter essere utilizzato. Gli operai decisero così di gettarlo su un fiume, perché servisse da passerella. La regina di Saba, trovandosi a passare per il ponte, riconobbe il legno e profetizzò il futuro utilizzo della tavola. Salomone, messo al corrente della profezia, decise di farlo sotterrare. Quando Cristo fu condannato, la vecchia trave venne ritrovata dagli israeliti ed utilizzata per la costruzione della Croce. A questo punto la leggenda inizia a confondersi con la storia. Nel 312, la notte prima della battaglia contro Massenzio, l'imperatore Costantino I ha la mitica visione che porrà fine, anche, alle persecuzioni dei cristiani: una croce luminosa con la scritta "In hoc signo vinces".  L'imperatore decide allora di utilizzare la croce come insegna e il suo esercito vinse la battaglia di Ponte Milvio. Costantino decise così di inviare la madre Elena a Gerusalemme per cercare la Croce della Crocefissione. Elena trovò una persona che conosceva il punto di sepoltura della Vera Croce. Per costringerlo a parlare, lo fece calare in un pozzo, senza pane ed acqua, per sette giorni. Convinse così il reticente a rivelare il luogo della sepoltura. Elena poté, in questo modo, rinvenire le tre diverse croci utilizzate il giorno della morte di Cristo. Per identificare quella sulla quale era morto Gesù, Sant'Elena sfiorò con il legno un defunto e questi resuscitò. Sant'Elena separò la croce in diverse parti di cui la principale venne lasciata a Gerusalemme.
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Nei primi secoli venivano uniti al simbolo della Croce le prime lettere greche di Cristo, X (chi) e P (rho) che intersecandosi formavano una Croce a sei bracci

Quando questa era inscritta in un Quadrato, simboleggiava la vita terrena del Cristo.

Quando era inscritta in un Cerchio, simboleggiava la divinità del Cristo e legava il suo significato a quello della Ruota mistica.

La Croce cristiana conserva il significato della Croce cosmica: essa ricapitola la Creazione, il Mondo nella sua totalità, è Centro del Mondo, Albero della Vita, Asse del Mondo.
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La tradizione religiosa  vuole che l'acronimo tetragrammatico INRI posto sulla Croce si traduca con Gesù Nazareno Re dei Giudei. Questo tetragramma, nel corso dei secoli, è divenuto patrimonio diffuso, e non esclusivo, di molteplici comunità, fratellanze, e ordini iniziatici e magici. Essendo impossibile determinarne la reale interpretazione, l'autentico sviluppo di queste quattro (il quaternario) lettere, in virtù dell'impiego strumentale a cui sono soggette, è forse utile spendere alcune riflessioni sulle stesse. In tutte le epoche ermetisti cristiani, alchimisti, rosacrociani, liberi muratori e tutto ciò che si richiama al cristianesimo esoterico, si è profuso in molteplici interpretazioni:

Igne Natura Renovatur Integra (Azoth = A + Alpha e Aleph, e poi Zeta + Omega e Thau)

Igne Nitrum Roris Invenitur
Insignia Naturae Ratio Illustrat

Jamaim, Nor, Ruach, Jabashah (estrazione cabalistica)
Justitia Nunc Reget Imperia
Ineffabile Nomen Rerum Initium

Intra Nobis Regnum Jehovah

Indefesso Nisu Repellamus Ignorantiam

Infinitas Natura Ratioque Immortalitas

Justum Necare Reges Impios

Ignatii Nationum Regumque Inimici, (con cui i Liberi Muratori "attaccano" i Gesuiti di S. Ignazio)
Come possiamo notare l'enorme varietà delle "letture esoteriche e occulte" di INRI non agevola il ricercatore, se non nei limiti dell'appagamento della propria particolare inflessione operativa.
Inflessione particolare che porta a considerare INRI come "parola sacra", "parola di potere", o "mantra"; e quindi da utilizzarla durante pratiche invocative o evocative, oppure considerare INRI un acronimo legato ad operatività alchemica, ed infine come depositario di una "verità" alternativa a quella religiosa. Molto dipende se si decide di contestualizzare INRI al periodo storico del primo secolo cristiano, o traslarla durante il rinascimento (periodo più consono all'alchimia), oppure in epoca moderna e contemporanea ove le quattro lettere sono associate a pratiche di mantralizzazione (anche connesse all'operatività sessuale). Ad aumentare la varianza delle interpretazioni, è fatto però osservare che nella sintassi latina, tuttavia, si vorrebbe che il genitivo "dei giudei" preceda e non segua il nominativo "re".
A quanto sopra detto, inoltre andrebbe considerato che non in tutte le croci questo acronimo è riportato per in modo lineare. In alcune si trova all'interno di un quadrato o rettangolo, sviluppato nel seguente modo:
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IN
RI
oppure
IR
NI
E' inoltre lecito e doveroso considerare come  le fonti evangeliche non sono concordi attorno alla dicitura posta sulla sommità della croce (e ciò potrebbe in qualche modo spiegare la questione di sintassi latina):

Matteo 27:37 Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: «Questi è Gesù, il re dei Giudei».

Marco 15:26 E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei.

Luca 23:38 C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.

Giovanni 19:19 Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei».

Da cui deduciamo quanto segue:

1. La frase più prossima all'acronimo è quella Giovannita.
2. L'acronimo è una libera riduzione della frase Giovannita.
Passando adesso ad un secondo livello di approfondimento, legato proprio al Vangelo di Giovanni troviamo alcuni informazioni di notevole interesse, che se non danno determinazione autentica all'acronimo, possono però aiutarci a mettere a fuoco il quadro ove questo è inserito.

Il Vangelo di Giovanni pare trovi "nascita" nella comunità di Efeso (Provincia romana, odierna Turchia), attorno al 100 d.c., ed è quindi improbabile che sia stato redatto dallo stesso Giovanni. Del resto è scartata anche la possibilità che sia stato Luca, il discepolo di Paolo. Potrebbe quindi essere espressione autonoma ed originale di una comunità la cui lingua era il greco, e la cui formazione spirituale era la filosofia gentile (platonica, ermetica, gnostica, pitagorica oppure una miscela di esse). 
Inoltre, il Vangelo di Giovanni non è corpo autonomo, ma è raccolto nelle LETTERE DI GIOVANNI, fra cui l'Apocalisse.
Lasciando per un attimo l'Apocalisse e il Vangelo di Giovanni, è interessante appuntare come gli Atti degli Apostoli, scritti anch'essi da un ellenista, trattano la città di Efeso:
Atti 18:24 Arrivò a Efeso un Giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture.
Atti 18:25 Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni.
La "nuova novella" non sarebbe stata portata ad Efeso da un ebreo, e neppure da persona iniziata nella cerchia degli apostoli (escludendo così il retaggio ebraico), ma da un certo Apollo (Espressione Solare, del Sole in Movimento), nativo di Alessandria (la culla dello Gnosticismo di Valentino, che da sempre sostenne l'alternatività fra l'antico e il nuovo testamento, e le due nature fra Cristo e Gesù), iniziato da Giovanni (Giovanni: fulcro ed espressione simbolica dell'esoterismo cristiano). Tutto ciò è indubbiamente interessante, in quanto fornisce ancora una volta un'interessante traccia attorno alle diverse nature, e radici che hanno animato e ancora oggi animano il messaggio cristico: fornendo invariabilmente diverse chiavi di lettura allo stesso.


Continuando su questa analisi, tesa a suggerire prossimi filoni di interrogazione e di ricerca,  è giusto indicare che il testo più antico pervenutici dell'opera di Giovanni, è datato 125 d.c. ed è chiamato "P52", ovvero Papiro 52. Le misure del frammento pervenuteci sono di cm. 8, 9 x 6 è conosciuto anche come Papiro Rylands 457, sicuramente uno dei più vecchi frammenti di riguardante il Nuovo Testamento. Ovviamente è stato ritrovato in Egitto ed è in forma di codice, e contiene Giovanni 18,31-33 e 18,37-38. Il Vangelo di Giovanni è inserito anche nel Papiro 66, datato circa il 200 d.c., conosciuto come papiro Bodmer II, e nei Papiri 45 e 75 del 250, e infine nel Codex Sinaiticus del 350.  Torna sempre prepotente la culla culturale egizia, e l'iniziazione fuori dal gruppo dei dodici quando parliamo del Vangelo di Giovanni. E' ancora interessante notare come il primo commentatore del Vangelo di Giovanni è stato uno gnostico, tale Eracleone, il quale era discepolo di Valentino, che ovviamente non starò a dire che era nativo di Alessandria d'Egitto, come Apollo che portò la buona novella ad Efeso.
E come Eracletone praticava un'estrema unzione per i suoi discepoli, utilizzando una miscela di olio, acqua e balsamo.. e al termine un'invocazione in lingua sacra....

Osserviamo l'Apocalisse di Giovanni attorno ad Efeso:

Apocalisse 1:11 Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa.

Apocalisse 2:1 All'angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro:

Pare che tutto ha inizio da Efeso, in qesta triplice preponderanza del 7 (sette le Chiese, sette le stelle, e sette i candelabri), numero della regola, dell'incontro fra divino e umano, la cui ricomposizione geometrica dona il cinque (l'uomo iniziato, completo, l'adepto al mistero della conoscenza)

 Questa natura che vogliamo integrare, rendere novella, divina magnificenza non è quella del mare,  e neppure del vento, e non certo del fuoco e della terra; non appartiene al quaternario manifesto in natura; bensì alle acque interne, al soffio che anima, al fuoco che arde nel cuore, e all'atto che da ciò si trae.
 
( tratto dalle  riflessioni  di Filippo Goti)

 L'Albero della Croce ovvero delle Sette Parole CROCE = MORTE   ALBERO = RINASCITA (resurrezione)
L'albero è il simbolo della vita, perché offre i suoi frutti da mangiare e la sua ombra per vivere, riparandosi dal caldissimo sole. Come simbolo della vita è anche punto di riferimento della famiglia, luogo dove si mantiene e si celebra la comunione con gli spiriti dei parenti defunti.  La Bibbia racconta come Dio ha modellato il mondo all’inizio e tra le tante cose belle ha creato gli alberi che danno frutto (E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie». E così avvenne»). Tra gli alberi del giardino degli inizi, Dio ha creato l’albero della conoscenza del bene e del male e l’albero della vita. Adamo e Eva, disobbedendo al comando di Dio, mangiano il frutto del primo albero: rivendicano in questo modo la capacità di decidere cosa è bene e cosa è male in modo autonomo da Dio, volendo andare oltre la loro condizione di creatura. La conseguenza di questo peccato (originale) è che viene negato all’uomo l’accesso all’albero della vita (che rappresenta l’immortalità, la pienezza di vita, che ogni uomo desidera): infatti i cherubini con la spada fiammeggiante bloccano il cammino all’albero della vita. Tutta la storia della salvezza, che la Bibbia racconta, mostra come Dio, per amore dell’uomo che ha creato libero, rende di nuovo possibile il cammino all’albero della vita, cioè lo invita a prendere parte alla sua pienezza di vita; e mostra anche la resistenza che l’uomo continuamente oppone a questo invito, confermandosi «figlio di Adamo». Difeso dai cherubini all’inizio, l’albero della vita appare di nuovo, alla fine del libro, quando nell’Apocalisse Gesù promette: al vincitore concederò di mangiare dell’albero della vita che sta nel paradiso di Dio, e proclama: beati quelli che lavano lo loro vesti per aver accesso all’albero della vita.  Il vincitore, colui che lava le sue vesti nel sangue dell’agnello, è ogni discepolo di Cristo che si mantiene fedele al suo Signore nonostante le persecuzioni che deve soffrire in nome della sua fede. Tra l’inizio e la fine del libro, in mezzo alla storia dell’umanità e della salvezza, s’innalza un altro albero: quello della croce dove Gesù è stato crocifisso. È per questo cammino imprevedibile e paradossale che Dio riapre per tutti, attraverso la morte di suo Figlio, il cammino all’albero della vita, per vivere in comunione con Lui. In Israele i peccatori condannati a morte erano appesi a degli alberi ed erano considerati maledetti da Dio. Gesù con la sua passione prende il posto dei peccatori, assume su di sé la maledizione della legge, prende su di sé i nostri peccati e inchioda sul legno della croce la sentenza di morte emessa contro di noi. In questo modo la croce, strumento di sofferenza e di morte, si trasforma in “legno che salva”, come dice il libro della Sapienza: benedetto sia il legno dal quale ci viene la g i u s t i z i a . Nella Bibbia l’albero è anche simbolo dell’uomo: come l’albero si conosce dai suoi frutti, così l’uomo di conosce da quanto produce nella sua vita. Grazie all’immagine dell’albero San Paolo riesce a esprimere in modo semplice e efficace la relazione tra la Pasqua di Gesù e la nostra vita. Da noi stessi siamo portati a dare frutti selvatici; con il battesimo, che ci unisce alla Pasqua di Cristo, siamo stati «inseriti» nell’albero che è Cristo, e se facciamo spazio alla sua grazia possiamo produrre gli stessi frutti che Egli ha prodotto.
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