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giovedì 4 ottobre 2012

Diotima la donna del Simposio


Diotima
«On est effrayé parfois de voir comme une vie n’est que le développement d’une seule et même idée, et comme toutes nos prétendues découvertes, où semble se manifester la variété et la liberté de l’invention, sont les conséquences nécessaires d’une point de départ unique» (M. Blondel).

“Chi sono allora, o Diotima quelli che s’applicano alla filosofia, se escludi i sapienti e gli ignoranti?”
“Ma lo vedrebbe anche un bambino,  che sono quelli a mezza strada fra i due(sapienti e ignoranti), e che Amore è uno di questi. Poiché appunto la sapienza lo è delle cose piú belle ed Amore è amore del bello, ne consegue necessariamente che Amore è filosofo, e in quanto tale sta in mezzo fra il sapiente e l’ignorante. Anche di questo la causa è nella sua nascita: è di padre sapiente e ingegnoso, ma la madre è incolta e sprovveduta. E questa è proprio, o Socrate, la natura di quel demone. Quanto alla tua rappresentazione di Amore, non c’è da meravigliarsi; perché tu credevi, per quanto posso dedurre dalle tue parole, che Amore fosse l’amato, non l’amante; e per questo, penso, Amore ti appariva bellissimo. E in realtà ciò che ispira amore è bello, delicato, perfetto e beato; ma l’amante ha un’altra natura, come t’ho spiegato”.  Riassumendo quindi, l’amore è desiderio di possedere il bene per sempre. – Verissimo, dissi io.
– Poiché dunque l’amore è sempre questo, riprese lei, in quale modo e in quali azioni lo zelo e la tensione di coloro che lo perseguono possono essere chiamati amore? Quale sarà mai questa azione? Lo sai? – Certo non sarei sempre ammirato della tua sapienza, o Diotima, né verrei a scuola da te per imparare proprio queste cose, se le sapessi. – Te lo dirò io, allora: è la procreazione nel bello, secondo il corpo e secondo l’anima. – Un indovino ci vuole, per capirti. Io non intendo. – No, ma te lo dirò io con piú chiarezza, riprese. Tutti gli uomini, o Socrate, sono pregni nel corpo e nell’anima, e quando giungono ad una certa età, la nostra natura fa sentire il desiderio di procreare. Non si può partorire nel brutto, ma nel bello, sí. L’unione dell’uomo e della donna è procreazione; questo è il fatto divino, e nel vivente destinato a morire questo è immortale: la gravidanza e la riproduzione.  Ma è impossibile che queste avvengano in ciò che è disarmonico. E il brutto è disarmonico a tutto ciò che è divino; il bello invece gli si accorda; cosí che Bellezza fa da Sorte (Moira) e da Levatrice (Ilitia) nella procreazione. Per questo quando la creatura gravida si accosta al bello diventa gaia e tutta lieta si espande, partorisce e procrea, ma quando si accosta al brutto, cupa e dolente si contrae, si attorciglia in se stessa e si ritorce senza procreare, ma trattiene dentro il suo feto soffrendo. Di qui s’ingenera l’impetuosa  passione per il bello nell’essere gravido e già turgido, perché il bello libera dalle atroci doglie chi lo possiede. E, a ben vedere, o Socrate, l’amore non è amore del bello, come pensi tu! – Ma di che cosa, allora? – Di procreare e partorire nel bello. – E sia, dissi. (Platone, Opere, dal Simposio)*
* simposio  era un ritrovarsi tra intellettuali amici a bere vino, a conversare e filosofare fino a tarda notte. Una conversazione civilmente regolata, con un moderatore o simposiarca che selezionava l'argomento da trattare e dava un ordine alla discussione, facendo passare la parola da un invitato all’altro.

PAUSANIA il retore imposta il suo discorso sull’affermazione che non esiste un solo Eros, ma due: Pandemio ed Uranio. Il primo è proprio dell'essere volgare volto alla sola soddisfazione dei sensi: è questo l'Eros che amano le persone di poco valore, quelle che si rivolgono tanto alle donne quanto ai ragazzi indirizzandosi più al corpo che all'anima; il secondo invece, poichè non partecipa della natura femminile ma solo di quella maschile, è sublime e celeste, ha come fine ultimo la virtù. Specifico di questo Amore è il rapporto onesto e consapevole che si instaura tra fanciullo e adulto ai fini di un percorso educativo. Le due diverse concezioni dell’amore maschile dipendono, secondo Pausania, dalla maggiore o minore influenza dei "barbari".
[La pederastia si era diffusa nella vita soldatesca di Sparta e da qui in molte altre città greche; con la caduta di Sparta cadde anche questo costume].
ARISTOFANE il commediografo propone una storia paradossale: un tempo gli esseri umani erano doppi, di forma sferica [= la perfezione originaria] e di tre sessi: maschile (due sessi maschili), femminile (due sessi femminili) e androgino (un sesso maschile ed uno femminile); avevano dunque, in posizioni opposte, due volti, quattro braccia, quattro gambe e due apparati riproduttori. Erano dotati di una forza straordinaria e allora Zeus, temendo la loro potenza, decise di dividerli in due parti; da quel momento ogni persona si sente una metà e ricerca la sua parte mancante. [=L’amore sarebbe appunto ricerca di ciò che manca]. Cosicché  i maschi e le femmine derivati dagli antichi maschi e dalle antiche femmine ricercano la loro metà nell'amore omosessuale, mentre maschi e femmine derivati dall'androgino tendono all'amore eterosessuale.
AGATONE il tragediografo declama le qualità di Eros: egli è un dio, il più felice tra gli dei poichè è il più bello e buono; è giovanissimo, delicatissimo, leggiadro, è portatore di valori come la temperanza, la giustizia e la sapienza e rende partecipi gli uomini di tutte queste virtù.
SOCRATE il filosofo segna una netta svolta nel discorso, perché lo porta sul piano ontologico (cioè della filosofia che si interroga sull’intima natura delle cose): è necessario chiedersi che cosa sia Eros, quale sia la sua essenza; solo così è possibile determinare qual è il vero oggetto a cui l’amore deve volgersi [con Socrate, qui, si passa dall’arte del dire (retorica e poesia) alla filosofia, come vero culmine del pensiero umano].
Le parole che egli dice però non gli appartengono, ma espongono la dottrina di una sapiente straniera, Diotima di Mantinea. Ella aveva insegnato: chi ama, ama ciò che ancora non possiede. Quindi l’amore è per sua natura segnato dalla povertà e dalla mancanza e costituisce per ogni uomo lo slancio verso qualcosa estraneo da sè; Eros ha la figura di un povero lacero e scalzo. Non è vero che Eros ha bellezza, perchè si desidera ciò che non si possiede: Eros è desiderio di eterno possesso del Bene, che coincide con il Bello. Eros perciò non è un dio, e tuttavia neanche un mortale: è un essere intermedio, che fa da tramite. Se l’amore è brama di possedere il Bene per sempre, assieme al bene si desidera anche l’immortalità e l’amore è anche amore di immortalità. Per i mortali, l’unico mezzo per ottenerla è la procreazione e la generazione nel bello, sia nel corpo che nell’anima. La bellezza ha il potere di rasserenare quell’essere già in sé “gravido”, che le si accosta. Diotima delinea un itinerario iniziatico* attraverso vari  gradi, che portano dall’apprezzamento delle bellezze terrene alla visione del Bello in sè. La prima fase dell'ascesa al bello è l'amore rivolto a un bel corpo, e nella persona bella prescelta si generano bei discorsi. Il passo ulteriore viene dalla riflessione che la bellezza di un corpo amato è sorella di quella di molti altri corpi, e che la bellezza ravvisata in un singolo corpo è identica a quella che è in tutti i corpi, attraverso un procedimento di astrazione che porta dal particolare verso l'universale: in questo secondo stadio le realtà sensibili partecipano dell'unica ed assoluta idea di Bellezza. Si procede poi considerando la bellezza delle anime, superiore a quella dei corpi. Al terzo stadio, che si stacca dal modello educativo pederastico, si arriva a contemplare la bellezza nelle istituzioni e nelle leggi, implicando anche un'azione educativa a livello morale e politico. Il quarto gradino prevede il passaggio alla scienza e segna il definitivo distacco dalle realtà terrene e sensibili.Chi ha seguito questo percorso è in grado di volgere lo sguardo al "grande mare del Bello": siamo giunti alla tappa finale dell'ascesa, alla contemplazione della Verità che consiste nell'idea del Bello in sé. Il quale non nasce e non muore, è sempre  se stesso in un'unica forma, a cui tutte le cose belle partecipano. L'ascesa intellettuale è presentata con la terminologia propria dell'iniziazione misterica*.
* iniziazione: accesso ad una conoscenza riservata a pochi, che viene rivelata per gradi, in un cammino detto appunto “di iniziazione”. Mentre la religione ufficiale nel mondo greco era obbligo di tutti ed aveva una funzione civile-politica, diverse religioni misteriche, a cui si accedeva dopo iniziazione,  presentavano un rapporto con la divinità di tipo personale-affettivo; generalmente erano in mano a sacerdotesse, nei santuari."Come quando tra i convitati sboccia la gioia del simposio Mescoliamo un secondo cratere di canti ispirati alle Muse …".

 ALCIBIADE compare a questo punto ubriaco, che fa l’elogio di Socrate. Il vecchio filosofo ha il torto di non essersi lasciato sedurre dalla sua bellezza e giovinezza. Alcibiade ci ha provato e riprovato, si sente deluso. Nell’amore di Alcibiade è insita una certa tragicità: egli ama Socrate, ma allo stesso tempo lo avverte come propria coscienza accusatrice (solo vicino a Socrate lui prova vergogna). Ammira la sua grandezza morale, avrebbe voluto diventare suo discepolo, ma la propria natura non è in grado di autodominarsi. [Alcibiade rappresenta l’uomo istintivo, che è attirato dalla filosofia ma è troppo impulsivo per  potervi accedere]. Il suo discorso di elogio a Socrate si allinea con i precedenti che erano rivolti ad Eros, quasi a dire che il vero Eros è il filosofo, o meglio la filosofia. Mentre i convitati ridono e discutono sull’accaduto, un gruppo di ubriachi fa irruzione nella sala travolgendo tutti nella confusione, in un finale sapientemente comico, che decanta la tragicità [=la poesia ha ancora una sua grande funzione].


Platone ragionava dell’amore avendo una concezione dell’essere che non corrisponde veramente all’esperienza di chi ama. Chi ama sa che c’è altro, perché ne dipende e ne dipende la sua felicità; Platone pensa all’essere come uno, immutabile e beato, autosufficiente, e pensa all’amore come a un mezzo per elevarsi a un essere così inteso. Tra questa concezione e quella esperienza, il tramite è costituito dalla nozione di possesso. Il filosofo inaugura così la metafisica patriarcale che concepisce la relazione non nei termini di uno scambio ma nei termini di una appropriazione di una proprietà, tra un soggetto e un oggetto (di desiderio, conoscenza, azione). così si spenge la creatività dell’essere. Il possesso dell’altro fissa il desiderio e fissa il senso dell’essere, mettendo fine allo scambio aperto dal senso di mancanza.
Diotima, la maestra di Socrate, insegnava tutt’altra cosa, e cioè che l’amore, per chi ama, non è un mezzo per arrivare alla scienza del bene, del bello e del vero, perché l’amore, vagabondo, mediatore e mendicante, è esso stesso quella scienza; e che l’essere non è né uno né due, ma passaggio. Amore per lei era passaggio ad altro, riconoscimento dell’altro, relazione, era mancanza accettata, era apertura, andirivieni, accadimento, precarietà, contingenza, era attesa ed irruzione d’altro. Questo è l’essere, secondo l’intelligenza d’amore dei testi della mitologia mistica femminile, la capacità di agire efficacemente facendo riposare la volontà, la nostra povera, buona volontà che lavora da più di duemila anni ed è esausta, e facendo lavorare al suo posto il desiderio, per il quale lavorare non è più faticoso che giocare per le creature bambine.
Le condizioni perché il desiderio possa così lavorare sono quelle di una pratica politica ben trovata. La storia del movimento delle donne è la storia delle sue pratiche, che hanno tutte in comune due tratti: il partire da sé e il primato della relazione, che fa dell’altro non un opposto a sé, non un oggetto di conoscenza e volontà, ma il termine di una relazione di scambio in cui il sapere nasce e la volontà va in vacanza uscendo da sé per far posto all’altro, come accade nella relazione che dà vita a una nuova vita. L’esporsi agli incontri e ai rapporti diventa così fonte di esistenza libera. Per quello che di sé cambia in quella esposizione. Perché non c’è altro modo di cambiare le cose che essere disposti al cambiamento di sé, e il paradigma perenne di questa disponibilità è l’innamoramento. L’amore che vuole essere all’altezza ma non teme di essere trovato mancante, e converte il piombo di una insopportabile dipendenza nell’oro di una mancanza accettata che apre la porta all’altro.

1 commento:

  1. Che l'Amore sia passaggio, soglia, apertura, movimento verso... mi fa ricordare la sintesi della saggezza orientale, operata da Osho.
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    Davvero interessante questo post per la ricchezza dei contributi e dei diversi punti di vista.

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