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lunedì 8 ottobre 2012

in manibus...sapientia




"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola;
tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

Il Libro rosso è il libro segreto di Jung, scrigno privato di un'anima che lì si cela nella sua nudità, e che un comprensibile pudore ha inteso proteggere da sguardi curiosi, e si situa al centro di una straordinaria sperimentazione artistica e psicologica che ne fa un unicum nel panorama novecentesco. Quella che Jung chiamerà più tardi "immaginazione attiva" e che fu ampiamente utilizzata in questo volume, è appunto lo strumento inedito di cui egli si servì, nel corso della sua discesa agli inferi, per suscitare i contenuti archetipici della psiche e oggettivarli attraverso il dialogo interiore, la scrittura, la pittura, la scultura. Il libro rosso. Liber novus

In Manibus Fortuna PosterFile:Il Libro Rosso (Jung).jpg

La psiche è composta oltre che dalla parte inconscia, individuale e collettiva, anche dalla parte conscia. La dinamica tra la parte conscia e quella inconscia è considerata da Jung come ciò che permette all'individuo di affrontare un lungo percorso per realizzare la propria personalità in un processo che egli denomina "individuazione". In questo percorso l'individuo incontra e si scontra con delle organizzazioni archetipe (inconsce) della propria personalità: solo affrontandole egli potrà dilatare maggiormente la propria coscienza. Esse sono "la Persona", "l'Ombra", "l'Animus o l'Anima" e "il sé". L'archetipo è una sorta di "DNA psichico": il concetto deve molto a Platone e alla sue "idee". La Persona (dalla parola latina che indica la maschera teatrale) può essere considerata come l'aspetto pubblico che ogni persona mostra di sé, come un individuo appare nella società, nel rispetto di regole e convenzioni. Rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto agli altri, ma non coincide necessariamente con ciò che realmente si è. L'Ombra rappresenta la parte della psiche più sgradevole e negativa, coincide con gli impulsi istintuali che l'individuo tende a reprimere. Impersona tutto ciò che l'individuo rifiuta di riconoscere e che nello stesso tempo influisce sul suo comportamento esprimendosi con tratti sgradevoli del carattere o con tendenze incompatibili con la parte conscia del soggetto. È, in un certo senso, l'evoluzione junghiana dell'Es freudiano. Animus e Anima rappresentano rispettivamente l'immagine maschile presente nella donna e l'immagine femminile presente nell'uomo. Si manifesta in sogni e fantasie ed è proiettata sulle persone del sesso opposto, più frequentemente nell'esperienza dell'innamoramento. L'immagine dell'anima o dell'animus ha una funzione compensatoria con la Persona, è la sua parte inconscia e offre possibilità creative nel percorso di individuazione.
Il è il punto culminante del percorso di realizzazione della propria personalità, nel quale si portano ad un'unificazione tutti gli aspetti consci ed inconsci del soggetto. Altri archetipi rappresentano immagini universali, che esprimono contemporaneamente positività o negatività: la Grande Madre, il Vecchio Saggio, l'Apollo, numerose figure della religione

« Chiunque abbia letto uno qualsiasi dei miei libri non può avere dubbi sul fatto che io non sono mai stato filonazista e tanto meno antisemita; non c'è citazione, traduzione o manipolazione tendenziosa di ciò che ho scritto che possa modificare la sostanza del mio punto di vista, che è lì stampato, per chiunque voglia conoscerlo. Quasi tutti questi brani sono stati in qualche misura manomessi, per malizia o per ignoranza. Prendiamo la falsificazione più importante, quella sul Saturday dell'11 giugno: "L'ebreo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai. L'inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico". Guarda caso, se lette nel loro contesto queste frasi acquistano un significato esattamente contrario a quello attribuito a esse da questi "ricercatori". Sono state prese da un articolo intitolato "Situazione attuale della psicoterapia". Perché si possa giudicare il senso di queste frasi controverse, le leggerò per intero il paragrafo in cui ricorrono: "In virtù della loro civiltà, più del doppio antica della nostra, essi presentano una consapevolezza molto maggiore rispetto alle debolezze umane e ai lati dell'Ombra, e perciò sono sotto questo aspetto molto meno vulnerabili. Grazie all'esperienza ereditata dalla loro antichissima civiltà essi sono capaci di vivere, con piena coscienza, in benevola, amichevole e tollerante prossimità dei loro difetti, mentre noi siamo ancora troppo giovani per non nutrire qualche "illusione" su noi stessi… L'ebreo, quale appartenente a una razza che dispone di una civiltà di circa tremila anni, possiede, come il cinese colto, un più ampio spettro di consapevolezza psichica rispetto a noi. L'ebreo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai, poiché tutti gli istinti e i suoi talenti presuppongono, per potersi sviluppare, un popolo che li ospiti, dotato di un grado più o meno elevato di civiltà. La razza ebraica nel suo insieme possiede perciò – per l'esperienza che me ne sono fatta – un inconscio che si può paragonare solo con alcune riserve a quello ariano. Eccezion fatta per alcuni individui creativi, possiamo dire che l'ebreo medio è già molto più consapevole e raffinato per covare ancora in sé le tensioni di un futuro non nato. L'inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello ebraico, il che costituisce al tempo stesso il vantaggio e lo svantaggio di una giovane età che non si è ancora completamente distaccata dall'elemento barbaro »

Jung s'interessò di paranormale già in gioventù, analizzando i fenomeni della sua cugina medium. Egli stesso condusse analisi ed esperimenti parapsicologici. Era convinto di essere un sensitivo. Nel corso della sua vita ebbe diverse premonizioni e una sorta di visione nel 1913 che annunciava la rovina dell'Europa (la prima guerra mondiale). Sosteneva che i fenomeni paranormali fossero segnali dell'inconscio collettivo, come i sogni sono spie dell'inconscio individuale. Cominciò un lavoro analitico su sé stesso, a base di tutta la sua opera, annotando sogni, fantasie e disegnandole anche, in quello che sarebbe diventato il Libro Rosso: non lo pubblicò mai; gli eredi autorizzarono la visione dell'opera solo nel 2001 e la pubblicazione del saggio, di intonazione profetica e ispirato allo stile di Nietzsche, solo nel 2008. Nel 1920 disse di avere assistito alle manifestazioni di un fantasma e di averlo visto, mentre dormiva (in una sorta di illusione ipnagogica). Jung tendeva a spiegare i fenomeni, più che come manifestazioni di spiritismo, come manifestazioni di alcuni inconsci turbati e particolarmente sensibili; tuttavia ammise che certi fenomeni erano, a suo parere, inspiegabili, avvicinandosi a una posizione possibilista. Cercò sempre di non abbandonare una posizione scientifica. Studiò anche la credenza nella reincarnazione, che interpretava originata dai ricordi dell'inconscio collettivo. Nel 1944 pubblicò Psicologia e alchimia ma in quello stesso anno ebbe un incidente, una frattura e un successivo infarto. In coma visse un'esperienza di pre-morte (un'esperienza extra-corporea e una visione di un luogo luminoso) che descriverà nel suo testo autobiografico Ricordi, sogni e riflessioni: Nel 1952 pubblicò gli importanti scritti sulla teoria della sincronicità: secondo questa spiegazione alcuni fenomeni avvengono in modo sincrono senza che vi siano correlazioni di causa-effetto, poiché hanno un'origine comune, un fine comune e una comunanza evidente di significato, e sono parte di uno stesso meccanismo del destino.

File:Mandala gross.jpg
File:Carl Gustav Jung portrait.jpg

Jung scrisse quattro saggi sui Mandala, i disegni rituali buddisti e induisti, dopo averli studiati per oltre venti anni. Secondo Jung, durante i periodi di tensione psichica, figure mandaliche possono apparire spontaneamente nei sogni per portare o indicare la possibilità di un ordine interiore. Il simbolo del mandala, quindi, non è solo un'affascinante forma espressiva ma, agendo a ritroso, esercita anche un'azione sull'autore del disegno perché in questo simbolo si nasconde un effetto magico molto antico: l'immagine ha lo scopo di tracciare un magico solco intorno al centro, un recinto sacro della personalità più intima, un cerchio protettivo che evita la "dispersione" e tiene lontane le preoccupazioni provocate dall'esterno. Ma c'è di più: oltre ad operare al fine di restaurare un ordinamento precedentemente in vigore, un mandala persegue anche la finalità creativa di dare espressione e forma a qualche cosa che tuttora non esiste, a qualcosa di nuovo e di unico. Come afferma Marie-Louise Von Franz (allieva di Jung), il secondo aspetto è ancora più importante del primo ma non lo contraddice poiché, nella maggior parte dei casi, ciò che vale a restaurare il vecchio ordine, comporta simultaneamente qualche nuovo elemento creativo. Collegandosi a ciò, Jung, a partire dagli anni quaranta, si occupò anche di un fenomeno nuovo, che s'intensificava sempre di più, soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale. Si trattava dei cosiddetti "oggetti volanti non identificati", in sigla UFO. Jung, che leggeva tutto ciò che veniva pubblicato in relazione a questi fenomeni, si occupò più volte del tema nei suoi scritti e tre anni prima di morire, nel 1958, pubblicò un saggio dal titolo Un mito moderno. Le cose che si vedono in cielo, che può esser visto come una puntuale interpretazione psicologica del fenomeno, ma anche come una ricapitolazione essenziale delle sue principali idee sulla psiche, e insieme come un messaggio - uno degli ultimi - in cui trovano posto le speranze e i timori che egli nutriva sul futuro dell'umanità.
Per Jung la coscienza del nostro tempo è lacerata, frammentata da un contrasto politico, sociale, filosofico e religioso di eccezionali dimensioni. L'Io si è troppo allontanato dalle sue radici inconsce; le "meraviglie" della scienza e della tecnica sembrano volgersi in forze distruttive. I dischi volanti rappresentano visioni, oggettivazioni fantastiche di un inconscio troppo duramente represso. Tra le varie ipotesi è dunque "un archetipo a provocare una determinata visione".
Jung considera con distacco e una certa ironia l'esistenza degli UFO come fenomeno fisico, sebbene nell'ultima parte del suo saggio egli sembri disposto a dare maggior credito alla loro effettiva realtà, per introdurre cautamente l'ipotesi che esista una sincronicità tra inconscio e fenomeno reale.Fra i vari precursori di Jung figurano soprattutto Platone, ma anche il neoplatonico Plotino, Johann Wolfgang von Goethe (che Jung sentiva legatissimo a sé, al punto che, da ragazzo, affermava, con i compagni di scuola, di esserne la reincarnazione). Importanti furono anche le letture giovanili di Immanuel Kant, Friedrich Nietzsche (soprattutto Così parlò Zarathustra), Friedrich Schelling, Cesare Lombroso, Arthur Schopenhauer e Jacob Burckhardt, e, ovviamente l'interrotta collaborazione con Sigmund Freud.
Spesso poi si dimentica il fatto che avesse finito il liceo in età prematura e poi fatto studi di medicina, e che nella famiglia materna vi erano diversi appassionati di spiritualismo e occultismo. Altri, spingendo dalla parte dei suoi studi esoterici sull'alchimia e il simbolismo parlano di influenze antiche e sapienziali, anche dall'oriente (certamente il libro I Ching).
Diverse testimonianze raccontano di come conoscesse bene il latino e amasse leggere le sue opere classiche e medioevali
Qualcuno ha fatto un paragone con il trascendentalismo di Ralph Waldo Emerson, specialmente con l'idea di Over-Soul (dalla prima serie di Essays), e con la conferenza Demonology (1839, della serie Human Life), ma non si sa se Jung l'avesse letto
« L'alchimia è, come il folclore, un grandioso affresco proiettivo di processi di pensiero inconsci. A causa di questa fenomenologia mi sono sottoposto allo sforzo di leggere da cima a fondo l'intera letteratura classica dell'alchimia »
I lavori e scritti finali della vita di Jung si concentrarono sull'alchimia. L'ultimo suo libro s'intitola infatti Mysterium Coniunctionis. Questo volume tratta dell'archetipo "Mysterium Coniunctionis" anche conosciuto come il matrimonio sacro o alchemico tra il Sole e la Luna. Jung ha riesaminato la teoria ed il simbolismo alchemico ed ha iniziato a mettere in luce il significato intrinseco del lavoro alchemico come ricerca spirituale. L'esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra alchimia ed inconscio si trova in varie sue opere che abbracciano un arco di tempo che va dai primi anni 1940 a praticamente fino alla sua morte avvenuta nel 1961:
  • Psicologia e alchimia (1944)
  • Psicologia del transfert (1946)
  • Saggi sull'alchimia (1948)
  • Mysterium Coniunctionis (1956).
La tesi dello psicanalista svizzero consiste nell'identificazione delle analogie esistenti tra i processi alchemici e quelli legati alla sfera dell'immaginazione ed in particolare a quella onirica. Secondo Jung, le fasi attraverso le quali avverrebbe l'opus alchemicum avrebbero una corrispondenza nel processo di individuazione, inteso come consapevolezza della propria individualità e scoperta dell'essere interiore. Mentre l'alchimia non sarebbe altro che la proiezione (psicologia) nel mondo materiale degli archetipi dell'inconscio collettivo, il procedimento per ottenere la pietra filosofale rappresenterebbe l'itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé ed alla liberazione dell'io dai conflitti interiori.[14]
Jung studiò anche approfonditamente l'astrologia e la legò alle sue teorie sui tipi psicologici.
Jung rimase sempre di religione cristiana protestante, nonostante l'interesse per molte culture religiose. La sua visione è di tipo gnostico e panteistico, con evidenti influssi neoplatonici. Così su Dio:
« Tutto ciò che ho appreso nella vita, mi ha portato passo dopo passo alla convinzione incrollabile dell'esistenza di Dio. Io credo soltanto in ciò che so per esperienza. Questo mette fuori campo la fede. Dunque io non credo all'esistenza di Dio per fede: io so che Dio esiste. »

Nel Libro rosso, pubblicato postumo nel 2009, Jung è più esplicito sul proprio concetto di Dio, quale negli anni della sperimentazione su sé stesso aveva maturato un Dio personale, riflesso di contenuti inconsci:
« Devo liberare da Dio il mio Sé, poiché il Dio che ho conosciuto è più che amore, è anche odio; è più che bellezza, è anche ripugnanza; è più che sapienza, è anche assurdità; più che forza, è anche impotenza; più che onnipresenza, è anche la mia creatura »
Jung ha sempre mostrato grande rispetto nei confronti della pratica religiosa dei suoi pazienti: l'aspetto terapeutico, infatti, per lui risultava alla fine più importante della fede professata. Riguardo a questa, però, rimane da chiarire per i teologi cristiani una questione basilare: se nella sua teoria si dia una distinzione reale tra l'uomo e Dio, o se quest'ultimo non si riduca a una produzione della psiche, anche a motivo di una nozione - l'archetipo - affascinante, ma anche vaga ed ambigua. Resta anche, secondo questi teologi, da chiarire l'ammissibilità di una rivelazione storica, irriducibile al soggetto e all'analisi psicologica: Jung non sembra accettare come fatto storico la risurrezione di Cristo, e anche la nozione di peccato sembra essere assimilata più che altro a concetti quali disordine, deviazione o disagio psichico.

Nella sua ricerca di una ricostruzione il più possibile psicologico-scientifica della religiosità, Jung era arrivato a concepire l’esperienza religiosa come “esperienza soggettiva del divino”. Quest’ultimo, sosteneva Jung (Psicologica e Religione del 1940), è definibile come una sorta di energia che afferra e domina il soggetto umano indipendentemente dalla sua volontà; è una proiezione dell’inconscio che può avere una valenza negativa (incoerenza distruttrice dell’aspetto demoniaco del divino) ed una valenza positiva, quando il progetto divino è percepito come coerente alla realizzazione del Sé (che rappresenta l’aspetto logico, “dicibile”, intelligibile del divino). Ovviamente, dobbiamo presupporre l’esistenza di un soggetto umano e filosofico, ossia di una interiorità individuale e strutturata, che può essere attraversato da turbe ma ha comunque in sé la capacità di guarire, ossia di ritrovare il bandolo della propria matassa. È una concezione che potremmo definire ottimistico-positivistica, cosa che del resto a Jung andrebbe benissimo. Il soggetto è una unità (è uno come Dio è Uno) che può ritrovarsi scissa in talune fasi del suo percorso, e che può trovare sollievo solo se ripercorre il cammino fino alla propria unità originaria. In considerazione di questo, lo psicanalista ferrarese Gianfranco Tedeschi, nella sua raccolta di saggi brevi dal titolo L’Ebraismo e la Psicologia analitica – Rivelazione teologica e rivelazione psicologica - edito da Giuntina nel 2000 - può porre un parallelo tra la psicologia junghiana (che dall’io scisso torna all’io uno) e il concetto ebraico della divinità. Al momento della sua formazione, il pensiero religioso ebraico si differenzia da quello dei popoli con i quali coabitava per essere l’unico a tenere al suo centro un Dio Unico e irrappresentabile, mentre tutti gli altri avevano tante divinità, per ogni aspetto della realtà, visibile e invisibile, dall’aspetto non solo umano, ma anche animale. Tedeschi ci dà la seguente spiegazione delle premesse che muovono i suoi studi: “La psicologia analitica studia i corrispettivi psichici dei processi religiosi e le sue ricerche offrono una strada assai fertile per un approfondimento dell’ebraismo nel suo significato religioso, esistenziale. Secondo il mio modo d’intendere, la psicologia analitica ci permette di accedere alla parte profonda, divina della personalità, quella che Jung chiama l’archetipo del Sé, e d’interpretare i suoi contenuti come l’aspetto interiore della rivelazione, il corrispettivo psichico della rivelazione esterna, teologica, due momenti contemporanei della stessa Realtà". L’ebreo è esortato ad essere “santo” (chadosh) come “Santo è il Signore”. In questo senso, simile a Lui. A questo, si riallaccia il concetto di “individuazione” junghiana, ossia quel processo che dall’io scisso, appunto, ci porta all’io uno, conciliato. Insieme a Jung, suggerisce che tale conciliazione non possa avvenire se non tramite l’esperienza religiosa, ossia tramite il riconoscimento che l’io deve diventare lo strumento di realizzazione del Sé, ossia della sua stessa oggettivazione come parte di un’unica sostanza archetipica religiosa che lo sovrasta e lo contiene e senza la quale non può relizzarsi, non può essere veramente se stesso. Ciò ha lo scopo di condurre l’io fuori dalla nevrosi: “l’archetipo del Sé, proiettato nei cieli, è allora rientrato nell’inconscio da cui proviene” : la vocazione junghiana è quindi la realizzazione dell’archetipo del Sé come mito fondante, ossia quell’innata tendenza all’autorealizzazione conscia della personalità, che non va repressa: “Ogni paziente è, psicologicamente parlando, un pagano che chiede di diventare monoteista” Quindi, per uscire dalla nevrosi occorre accettare una quota di alienazione: l’archetipo del Sé è un fattore sia interno che esterno alla psiche, la cui attivazione guida l’uomo alla realizzazione della propria completezza, legata alla propria individualità e peculiarità: “l’io non è il centro motore della personalità, ma lo strumento per la realizzazione conscia del Sé”. Una sorta di rivoluzione copernicana che conduca fuori dall’egotismo, un’alienazione controllata che eviti l’alienazione nevrotica. Non a caso, infatti, si ricorda che Jung “definisce la nevrosi come l’ira di Dio che si abbatte su chi si è allontanato dal Sé e la guarigione consiste nel ritorno ad esso”. Per Jung come per il religioso, il senso della vita è la realizzazione conscia del Sé. Ma l’archetipo del Sé non è una fonte di dogmi, quanto una profonda aspirazione, lo scopo di una ricerca che ha come fine il benessere psichico. L’importante è che l’uomo (non solo il singolo, ma l’umanità intera) abbia la sensazione di dialogare con Dio e di collaborare con Lui al completamento della Creazione. A questo stesso fine è rivolto l’Ebraismo: “Nel mito (mito secondo Jung) ebraico sono presenti, in modo più marcato, i temi delle sequenze psichiche dell’attivazione del Sé, profondamente radicato nella struttura costituzionale della personalità dell’ebreo, dominante sulle altre strutture archetipiche. L’ebreo sente che Dio è una grande parte della propria anima: realizzare la propria qualità divina significa integrare Dio in ogni atto della propria quotidianità, riempire, come dice Buber, gli spazi interpersonali con il cemento divino fino a che vi sarà un’unica massa, un solo blocco, e questa sarà l’era messianica.

Imparare è un'esperienza;
 tutto il resto è solo informazione.
Albert Einstein



Georges Ivanovič Gurdjieff (Alexandropol, 13 gennaio 1872 – Neuilly, 29 ottobre 1949) è stato un filosofo, scrittore, mistico e "maestro di danze" armeno. Il suo insegnamento combina cristianesimo, sufismo e altre tradizioni religiose in un sistema di tecniche psicofisiche che cerca di favorire il superamento degli automatismi psicologici ed esistenziali che condizionano l'essere umano. L’insegnamento fondamentale di Gurdjieff (in comune con molti altri "maestri spirituali" di ogni epoca) è che la vita umana è vissuta in uno stato di veglia apparente prossimo al sogno. Per trascendere lo stato di sonno (o di sogno) elaborò uno specifico lavoro su sé stessi al fine di ottenere un livello superiore di vitalità e consapevolezza. Fondamentale il suo diffondere in Europa l'enneagramma che viene utilizzato come tecnica di autoconoscenza e indagine psicologica, e in questo senso si è andato diffondendo in Occidente, applicato non solo all'ambito della terapia ma anche a quello della formazione, della ricerca del personale ecc., integrato anche con altri approcci psicologici, come la PNL, o confrontato con altre "mappe" di personalità, come quella dei tipi psicologici di Carl Gustav Jung. Ichazo, nato nel 1931 in Bolivia, scoprì a 19 anni il libro di Ouspensky e partecipò a Buenos Aires alle attività di un gruppo probabilmente collegato con suoi allievi. Dal 1955 comincia a condurre e fonda poi l'Istituto di Gnoseologia di Arica, villaggio cileno al confine con il Perù, organizzando ritiri di crescita personale. Un gruppo di suoi allievi, tra i quali il cileno Naranjo, partecipando a questi ritiri entrò in contatto con l'enneagramma e cominciò ad approfondirne lo studio e a diffonderlo. Oggi esiste sull'argomento una vasta letteratura, legata non solo all'approccio caratteriologico già citato, ma anche alla tradizione cristiana, alla mistica sufi, a diverse scuole esoteriche.
(tratto da whikipedia)

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