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giovedì 13 dicembre 2012

EHEYE' ASHER EHEYE'



Le interpretazioni della Bibbia cercano da sempre di individuare quale principio unificatore la animi, principio che è simboleggiato dall'eco della voce divina che Mosè udì sul Sinai, e che oggi parla ancora attraverso la Torà. Dopo aver plasmato il primo uomo con la terra e l'acqua, Dio insufflò in lui la vita; questo soffio vitale è amore o Eros: lo era quando fu creato Adamo (che lo ricevette direttamente) e lo era nelle parole di Dio a Mosé (che lo ha racchiuso nel messaggio della Legge): "Dal momento che quella parola originaria è destinata agli uomini e mira a regolarne la vita su questa terra, il soffio dell'Eros divino si è 'incarnato', nel testo biblico, in discorso della Legge". Per comprendere il messaggio biblico vivente occorre risalire all'Eros primordiale che l'ha generato. La Bibbia contempla la conoscenza per mezzo del corpo: il verbo "conoscere" - ladà'at - significa sia conoscere intellettualmente che conoscere carnalmente, e infatti è riferito alla conoscenza che Adamo fece di Eva. La tradizione mistica ebraica insiste molto sull'origine carnale della conoscenza e sul radicamento di ogni attività intellettuale nell'esperienza corporea. La conoscenza viene fondata nella soggettività umana intesa non come una serie di categorie teoretiche, ma nell'insieme della persona, psiche e corpo. Il desiderio di conoscenza nasce dalla percezione di una mancanza. Dio onnipresente e onniscente si sente solo nell'Universo e si contrae (quello che i cabbalisti chiamano zimzum) per "fare spazio" alla creazione. Adamo, nell'Eden, vedendo che tutti gli animali sono in coppia, si sente solo e desidera una compagna. A quel punto, Dio "fa spazio" in lui per Eva, togliendogli una costola. L'uomo e la donna, esseri duali fatti a immagine di Dio (anch'Egli duale perché in parte trascendente e in parte immanente, e la Sua immanenza ne è la parte femminile, ossia la Shekhinà) sono entrambi, al contempo, maschio e femmina, spirito e corpo. Dalla loro unione nasce la vita, che è sia unione di due nell'uno (e in questo senso, il figlio può essere considerato il simbolo della sintesi della creazione che dal molteplice torna all'unico Principio creatore da cui è scaturita) sia la moltiplicazione di due nelle infinite combinazioni genetiche possibili, nell'imprevedibilità della prolificazione potenziale. Il tempo della Bibbia è etico e ciò comporta il rifiuto di ogni fatalismo. Si è coscienti di ciò verso cui si va, e si preferisce la speranza legata al rischio al godimento immediato: il tempo ebraico tende all'infinito per non rischiare di costruire monumenti al presente.
È per questa ragione che Esaù perde la primogenitura a favore di Giacobbe; quest'ultimo desiderava farsi carico l'eredità morale dei Padri, mentre Esaù era un guerriero che vedeva la propria vita limitata al tempo che lo separava dalla propria morte.
La temporalità ebraica è qualitativa, e l'infinito (cui viene comunque messo un termine, con l'avvento dell'era messianica) simboleggia la qualità dell'avvenire. Il desiderio della qualità è Eros e Ethos contemporaneamente; l'istante successivo non nasce da una serie di istanti ineluttabili, ma è costantemente ed eticamente scelto: "Ciò che la tradizione ebraica chiama 'il mondo a venire' designa questo mondo nella misura in cui si annulla a ogni istante per far esistere il proprio al di là, il proprio oltre. Questo oltre può generarsi solo nel presente e contro di esso". Il perpetuo "altrove" (che è temporale e spaziale) indica un'esigenza, un desiderio (Eros) dell'oltre che viene dal profondo dell'intimo dell'uomo, che nulla può colmare.
Dio stesso si annuncia a Mosé con due futuri "Io sarò (colui) che sarò" (Eheyé asher eheyé) sul Sinai, mentre invece precedentemente, nel deserto, essendogli apparso come fuoco che arde ma non consuma, si era definito come "Il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe", ossia come il Dio rassicurante e familiare, forse quasi dimenticato e leggendario, che doveva trasformarsi in un Dio che annuncia il riscatto del futuro. In quest'ottica, è necessario che Mosè torni dal popolo dicendo che lo manda "Io sarò". Questo va letto come il desiderio di Dio di coinvolgere il suo popolo nel Suo destino: "Io sarò" può essere completato con "Io sarò colui che voi vorrete che io sia", o ancora, "Io sarò ciò che voi farete di me": "A livello della loro storia collettiva, la memoria, ossia l'attualizzazione del passato, si confonde con la speranza, ossia con l'anticipazione dell'avvenire". Di nuovo, Ethos ed Eros si sintetizzano. Dal Nome di Dio l'uomo deduce che gli è data la possibilità di superare il tempo e di fare della memoria (del passato) lo strumento della redenzione (del futuro). La redenzione è resa possibile dalla Rivelazione sul Sinai e il rapporto che unisce Dio e il suo popolo è il desiderio del popolo di sentire di nuovo la voce di Dio. La voce di Dio è racchiusa nella Torà, nel rivolo dei precetti scaturiti dai comandamenti, elaborati da Mosé: "Il prezzo da pagare per la mediazione di Mosé è il restringersi dell'esperienza mistica nella pratica dei precetti, il passaggio della libertà dell'Eros verso la disciplina della Legge". Il desiderio del popolo ebraico, che la tradizione vuole simboleggiato dall'innamorata protagonista del "Cantico dei cantici", è quello di riscoprire la tensione erotica, l'Eros divino, che la Legge incarna.  (S. Moses: L'Eros e la Legge - letture bibliche)



tvcinemateatro―i protagonisti: Il cantico dei cantici: la Bibbia ...




 



Foto: Malachia e l’ultimo Papa 
I 500 anni che vanno dal 1.100 al 1.600 sono stati i più proficui per i cosiddetti “autori 
profeti”, sebbene pure negli anni precedenti ce ne siano stati alcuni, anche importanti. 
Personalmente sono interessato a tutti gli autori di profezie in genere, ma in particolare a 
quelli che hanno avuto a che fare con il Templarismo ed il Neotemplarismo. 
Quando si parla di “profezie” si pensa subito a Nostradamus, cavaliere Neotemplare, di cui ho 
parlato in altra rubrica.  Ritengo Nostradamus il più importante per quanto attiene la 
completezza o meglio la sfera episodica delle sue centurie. 
Non da meno è da considerare Malachia, Primate d’Irlanda del XII secolo che riformò la 
chiesa del suo Paese introducendo la liturgia della chiesa romana. 
Malachia scrisse il “De summis pontificibus” che tratta, in 112 motti,  le caratteristiche dei 
papi da Celestino II (1143) fino all’ultimo papa che sarà, secondo lui, Pietro II che salirà al 
trono di Pietro I nell’anno 2026.  Ma questo sarà anche l’ultimo papa. 
Molti ritengono l’opera di Malachia apocrifa, scritta nella metà del 1500 da autore ignoto, 
attribuita a Malachia e pubblicata per la prima volta dal benedettino Arnold Wion nel 1595.  
Per questa distanza temporale di circa 400 anni, durante i quali nulla si sapeva di detta 
opera, molti ricercatori ritengono appunto che sia apocrifa.    Non voglio creare polemiche 
con gli studiosi, ma in certi punti dell’opera ci sono passi scritti con parole o motti templari 
che fanno pensare all’originalità dell’opera od almeno che, chi l’ha scritta, anche in tempi 
successivi, fosse un neotemplare.  Dal momento del “si dice” e che è stata attribuita a 
Malachia, riteniamola come possibile farina del suo sacco. 
La vita 
Malachia, il cui vero nome era Mael Maedos O’Morgair d‘Armagh nato appunto ad Armagh 
nell’anno 1094, fu ordinato nel 1119, nello stesso periodo in cui Bernardo di Chiaravalle ed Ugo 
de Payns costituivano l’Ordine dei Cavalieri Templari. Fu nominato abate a Bangor nel 1123 e 
successivamente arcivescovo di Condor nel 1125 ed infine vescovo di Armagh e Primate 
d’Irlanda nel 1132. 
 Nel 1138 rinunciò all'arcivescovado e ritornò alla vita monastica. Fu santificato nel 1190 da 
Papa Clemente III.  
Con San Bernardo si recò più volte a Roma al cospetto dei diversi pontefici succedutisi 
durante la sua vita curiale e con i quali intratteneva rapporti cordiali, si dice, legati alle sue 
conoscenze ed influenze nel mondo templare francese.  Si stava recando a Roma, passando 
per Chiaravalle, quando s'ammalò. I monaci di San Bernardo cercarono di alleviarne la 
condizione, curandolo nel migliore dei modi, ma Malachia scotendo la testa, come in segno di 
ringraziamento, diceva loro “ E’ inutile, obbedisco alle vostre premure per carità”.  Morì a Malachia e l’ultimo Papa  - di Ugo Cortesi                                                                                        Pag. 2 
Chiaravalle il 2 novembre 1148.
Importante è capire il perché prese il nome di 
“Malachia” e questo ci può forse fare capire 
pure se l’opera, a lui attribuita, sia vera o falsa. 
Il primo Malachia di cui si abbia conoscenza, lo 
troviamo nell'Antico Testamento. A lui si 
attribuisce il “libro di Malachia”, opera 
profetica che gli Ebrei indicano come “Sigillo 
dei profeti”. Il profeta biblico Malachia visse 
durante la dominazione persiana del territorio 
mesopotamico-babilonese (circa 540 a.C.). Il 
libro tratta problemi etici e morali della 
comunità ebraica, dopo la prigionia babilonese. In esso si condannano i matrimoni misti e si 
esalta il momento escatologico della venuta  del messaggero di Dio che premierà i buoni e 
punirà i cattivi.  Questi punti sono ripetuti circa trecento anni dopo dalla comunità essenanazorea, cui faceva parte Gesù, ripresi ancora dopo altri 1200 anni, come riferimento 
religioso, dai Poveri Cavalieri di Cristo o meglio dai Templari. 
Forse il nostro Malachia, primate d’Irlanda, voleva “imitare” il primo Malachia biblico e forse, 
ripeto il forse, ha voluto pure lui scrivere un libro di profezie come fece il suo omonimo 1700 
anni prima. 
Le profezie 
Come già indicato, molti asseriscono che l’opera “De summis pontificibus” sia uno dei tanti 
falsi composti tra il Cinquecento e il Seicento, ai tempi di Paracelso e di Nostradamus, 
quando profezie, rivelazioni,  divinazioni e magie erano di moda. 
Malachia profetizza sui papi, da Celestino II alla fine del papato della chiesa di Roma, 
indicato nel motto 112, appunto relativo all’ultimo papa. 
L’avvenimento dovrebbe realizzarsi nel 2026,  quindi fra pochi anni.  Prima di procedere 
all’esame di alcuni “motti” voglio sottolineare che una profezia Templare tramandatasi nei 
secoli e legata a quanto l’Abate Sauniére scoprì durante gli scavi di ristrutturazione della 
chiesa di Rennes le Chateau, indica che: “..il primo papa franco del terzo millennio, svelerà il 
segreto e con lui finirà il potere della chiesa.”.  In questo caso i tempi previsti da Malachia e 
dai Templari potrebbero coincidere.  Se i Templari fecero detta previsione sulla base delle 
profezie di Malachia, vorrebbe dire che l’opera “De summis pontificibus” non sarebbe un 
apocrifo della metà del ‘500, ma un originale del XII secolo.   Chissà se mai qualcuno riuscirà 
a scoprirlo!
Venendo ora al contenuto delle  “profezie” esaminerei i motti riferiti ai papi che vanno 
dall’Unità d’Italia fino ai nostri giorni e cioè dal motto 101. 
101 - Pio IX (1846-1878) motto: Crux de cruce: a significare, la tribolazione della Chiesa 
durante l'unificazione dello Stato Italiano. Malachia e l’ultimo Papa  - di Ugo Cortesi                                                                                        Pag. 3 
102 - Leone XIII (1878-1903) motto: Lumen coeli: si riferisce allo stemma di questo papa 
che conteneva una scintillante cometa. 
103 - Pio X (1903-1914) motto: Ignis ardens: significa, il cuore carico di santa fede di questo 
papa. 
104 - Benedetto XV (1914-1922) motto: Religio depopulata: a significare i milioni di cattolici 
morti durante il primo conflitto mondiale. 
105 - Pio XI (1922-1939) motto: Fides intrepida: la lotta della fede contro i regimi totalitari. 
106 - Pio XII (1939-1958) motto: Pastor Angelicus: fu da molti definito il papa Pastore dal 
portamento angelico. 
107 - Giovanni XXIII (1958-1963) motto: Pastor et Nauta: fu patriarca di Venezia e viaggiò 
molto. 
108 - Paolo VI (1963-1978) motto: Flos florum: nel suo stemma c'erano tre fiori. 
109 - Giovanni Paolo I (1978)  motto: De medietate lunae: a significare il suo brevissimo 
pontificato che durò poco più di un mese lunare. 
110 - Giovanni Paolo II (1978-viv.) motto: De labore solis: è il riferito all'instancabile attività 
svolta e che per primo e solo lavorò per la caduta del muro di Berlino. 
111 - All'attuale pontefice dovrebbe succederne uno identificato dal motto “Gloria Olivae”, in 
riferimento, forse, ad un periodo di pace universale, che dovrebbe durare fino ai primi anni 
20 del 2000. 
112 – Dopo il papa previsto nel motto 111 ci sarebbe una grave catastrofe (anno 2026) 
durante il regno dell'ultimo papa, identificato con una vera e propria profezia:  "In 
persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus qui pascet oves in 
multis tribulationis, quibus transactis septicolis diruentur et Judex tremendus judicabat 
populum suum.Amen".  (Durante la persecuzione estrema della Santa Romana Chiesa, siederà 
(sul trono) Pietro il Romano, che pascerà il suo gregge fra molte tribolazioni; passate queste, 
la città dai sette colli verrà distrutta ed il  tremendo giudice giudicherà il suo popolo).  
Questo ultimo Papa dovrebbe chiamarsi Pietro II. 
Come si dice: “chi vivrà vedrà”.  In ogni caso il 
mio  parere  è  che  la  Chiesa  quale  casa  dei 
cristiani e dei credenti non tracollerà almeno 
per un altro millennio, forse crollerà la 
cosiddetta sacralità romana del Vaticano, che 
praticamente nasce con papa Alessandro I (105-
115)  quando  non  più  il  popolo  di  Cristo  era 
chiamato a designare il loro “Maestro”, ma ad 
esso si sostituiva la nomenklatura del potere con 
gli errori politici, morali e religiosi che ne sono 
seguiti, finanche ai giorni nostri. Solo una 
revisione dei molti dogmi che nei secoli si sono dimostrati non verità incontrastabili, ma 
forzature create a beneficio di chi, anche con poca dignità ha sfruttato il nome di Gesù, al Malachia e l’ultimo Papa  - di Ugo Cortesi                                                                                        Pag. 4 
solo fine di poter influire e profittare della  credulità popolare, potrà salvare il salvabile.  
Serve, in pratica, un recupero di credibilità.
E’ difficile cercare la verità, ma l’attenersi ai fatti ed ai documenti, che negli ultimi secoli  
sono stati rinvenuti, sarebbe non solo un segno di umiltà, ma anche una prova di giustizia nei 
confronti almeno di Jesuha ben Joseph, Maestro di Giustizia dei Nazirei, che certamente 
non la pensava come hanno pensato, e quindi agito,  la stragrande maggioranza dei papi 
indicati da Malachia e loro predecessori. Ma questo è un altro argomento.

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